martedì 12 febbraio 2008

sogno di una sera di mezza estate.

un racconto di Leo

È sera.

Si sta facendo tardi e Andrea deve tornare a casa. Oggi ha partecipato per la prima volta ad una manifestazione con i compagni del Centro Sociale. La giornata è stata dura, la carica della celere aveva disperso tutti quanti e lui e Leo erano riusciti a sgattaiolare in un vicolo e a tagliare per i campi. Si sentivano emozionati per com’erano andate le cose. Vertigine allo stomaco, senso di vittoria, di aver fatto qualcosa di buono…

Erano rimasti d’accordo con tutti gli altri che si sarebbero rivisti al C.S.O. nel caso in cui si fossero persi, per cui, dopo aver ripreso fiato, stavano cercando di capire dove cazzo fossero finiti e soprattutto, come tornare sulla strada.

«Aho famise na canna!», tuonò Leo tutto a un tratto, come se l’essere soli in quel silenzio di campagna gli desse un nuovo coraggio e consapevolezza.

«Ma perché… tu? L’hai preso… si insomma: cel’hai??», rispose sorpreso Andrea che non aveva mai fumato prima.

«E si che ce l’ho! Me l’ha dato Darietto stamattina. A voi girà te?»

«Noo… io nun so bono a falla eh… cioè… oh Lè io nun me le so mai fatte le canne…»

Andrea era tra l’emozionato l’impaurito, la sua voce tradiva, quasi stillava, la voglia di avere più dei suoi quindici anni.

«Tranquillo mo te impari …», lo rassicurò Leo, cacciando dalla tasca del giacchetto le cartine.

Al primo tiro Andrea si senti soffocare e mancare il respiro, mentre Leo lo rassicurava ridendo divertito. Già al secondo la sensazione fu diversa: un senso di tranquillità, rilassatezza. I due ragazzini si guardarono e presero a ridere. Era estate, erano le dieci di sera, si erano fermati in una vigna apparentemente incolta, seduti per terra a fumare, a guardare il cielo con più stelle di quante ne avessero mai contate in vita loro, a pensare alla giornata trascorsa.

Leo mollò una scora atomica e Andrea cominciò a ridere. Tutti e due ridevano e se la spassavano di gusto. Era estate, si stava facendo tardi e i loro genitori li aspettavano a casa.

D’improvviso un fruscio, un latrato, un ringhio incessante li svegliò dal quel sogno.

«Leo, Oh Le...», la mano si posò sulla spalla dell’amico, lorda di sangue, le budella sparse sul terreno, un conato di vomito si strozzò in gola ad Andrea, poi un fetore, un puzzo di marcio e SANGUE.

Davanti a lui due occhi rossi giganteschi, una figura enorme, un lupo, ma più grande, troppo più grande. Il terrore poi il sapore del sangue, il suo.

Era una sera di mezz’estate e qualcuno cenava tardi.