mercoledì 29 aprile 2009

frenesia.

un racconto di Striker

Come ogni sera, da molto tempo a questa parte, mi ritrovo sulla veranda della villa di famiglia ad aspettare oziosamente che il sole beffardo si adagiasse oltre le alte colline che circondano la vallata, dove generazioni e generazioni di Saint Clair si sono avvicendate nella gestione di un patrimonio ormai dimenticato.

Rimango solo io, un nobile viziato che non ha mai osato sporcarsi le mani nelle vili questioni delle comune genti, tanto che, dopo aver liquidato tutti i beni mobili e immobili, sono rimasto a goderne i frutti nella più totale apatia.

Finché non incontrai lei.

Era una visione celestiale e insieme oscura, una dama nera che ridefiniva ogni concetto di bellezza terrena.

La incontrai in una squallida taverna del paese dove passavo solitario le mie tristi notti. Capii subito che non era una donna come le altre. Aveva un fascino misterioso e altero, una donna per cui, sentivo, avrei fatto qualsiasi cosa. Qualsiasi.

Il nostro rapporto procedeva lento ma solido, lei schiva ma autoritaria, io la rispettavo come donna e mi dimostravo accondiscendente alle sue bizzarre richieste.

Ci potevamo incontrare solo dopo il tramonto e all’alba lei doveva tornare rapidamente a casa, a causa della sua famiglia, che le imponeva una curiosa etichetta.

Le nostre notti insieme si svolgevano in maniera lenta e misteriosa. Le piaceva bere, ma per quanto il vino scorresse sulle sue labbra voluttuose sembrava mantenere una lucidità e un autocontrollo stupefacenti. Camminavamo a lungo, fino a che sentivo che l’alcol entrava in circolo e faceva il suo effetto, annebbiando i ricordi e ottenebrando le sensazioni, fino a che ci ritrovavamo nella nostra alcova, l’uno nelle braccia dell’altro, trasportati da una passione dirompente e selvaggia, sopraffatti da una sorta di ebbrezza, di consapevolezza del proibito che non riuscivo a scrollarmi di dosso nemmeno il giorno dopo quelle folli notti.

All’epoca riemergevo da un periodo buio e tetro, non avevo coscienza di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.

Era una notte fredda e oscura, le nubi che si addensavano presagivano quello che non mi sarei mai aspettato. Mentre passeggiavamo verso la nostra carrozza, di ritorno dal villaggio di contadini dove la mia compagna notturna voleva essere portata di tanto in tanto, accadde un imprevisto: un uomo, sulla cinquantina, con diversi litri di vino in corpo si avvicinò a noi, e puntando una croce di legno improvvisata in direzione della mia donna imprecò, della parole senza senso dettate dall’alcol ma che risuonavano nelle mie orecchie con una certa familiarità: mostro, demonio, mia figlia… solo 14 anni…. vergine… upyr! A questo punto le urla si trasformavano nella sua lingua di origine, probabilmente russo, delle quali capivo ben poco, pur avendo fatto affari in passato con questa gente. Ma la cosa che più mi scosse fu’ la reazione di lei. Alla vista della croce si aggrappò al mio braccio facendomi incredibilmente male, nonostante la sua esile figura. La paura dipinta sul suo volto mi fece rabbrividire, e quando scattò in direzione opposta mi lasciò sgomento davanti a quell’uomo invasato. Cercai invano di raggiungerla, la sua corsa era incredibilmente veloce e la persi molto presto. Amareggiato, confuso, impaurito, stavo per tornare alla carrozza, quando davanti a me si parò uno spettacolo di luci incredibile. Migliaia di piccole lucciole danzanti si frapponevano tra me e il bordo del villaggio circondato da una fitta vegetazione. Rimasi abbagliato da quello spettacolo, tanto che non saprei dire quanto rimasi lì pietrificato. Le luci volavano in cerchi concentrici perfetti, disegnando spirali dalla lunga scia luminosa. A un tratto le luminescenze si misero in formazione, disegnando una figura umana. Era molto simile alla mia dama oscura, tanto che poteva essere un suo lontano parente. Ero estasiato da questa visione che infondeva un senso di calma apparente. Non ricordo molto di quell’episodio, tranne che la splendida figura si avvicinò al mio volto, poi una specie di calore bianco si diffuse seguito da una breve fitta alla gola.

Al mio risveglio mi ritrovai nella mia stanza, come ci fossi arrivato non mi è dato da sapere.

Rimasi tutto il giorno nel letto, le finestre sbarrate e le tende a coprire il sole, bloccato da una stanchezza cronica, sembrava che le mie forze fossero prosciugate. Solo dopo il tramonto ricevetti la visita della mia amata. Aveva uno sguardo diverso dal solito, un misto di amarezza e rassegnazione che non saprei spiegare. Cercai di raccontarle quello che ricordavo ma lei mi ripeteva che era stato solo un brutto sogno e che dovevo riposare. Rimase accanto a me tutta la notte, ma benché fossi stanco non riuscii a dormire se non alle prime luci dell’alba. Il mio sonno era funestato da orribili incubi, dove vedevo una giovane figura femminile venirmi incontro, ma quando riuscivo a vederla meglio in viso, rimanevo inorridito dal volto sfigurato e il sangue che le colava copioso dal collo sul suo vestitino bianco. La cosa che mi lasciava paralizzato dal terrore era la sensazione di familiarità con quella scena, ma non riuscivo a ricordare dove l’avessi vista.

La dama oscura venne a me in una notte nella quale sembrava avessi ripreso tutte le mie forze. Mi sentivo incredibilmente bene, provavo una sensazione di potenza inedita per uno come me, benché non avessi mangiato da tempo immemore.

Quando venne a me capii che era per darmi una spiegazione di tutto quello che avevo passato. Il suo volto tradiva una nota dolente, come di una cosa che va’ fatta a tutti i costi, suo malgrado.

Alle mie domande rispose nel più infame dei modi, portandomi davanti lo specchio della toletta che era stato misteriosamente coperto. Togliendo il tendaggio il mio cuore ebbe un sussulto, seguito da quella consapevolezza che avevo sepolto nel mio animo perché troppo scomoda da accettare. Lì dove doveva esserci la mia immagine c’era solo il riflesso della mia stanza da letto, orribilmente vuota.

Se ci fosse stato qualcuno oltre a noi avrebbe sentito le mie urla di terrore lacerare il silenzio della notte, quando, in preda a una sorta di frenesia, mi lanciai contro la mia amata per sventrarle la gola e mangiare il suo cuore nero.

Tutto quello che avevo sopito degli ultimi mesi, tutti gli orrori che avevo cancellato dalla mia mente erano emersi nella loro crudeltà. Ero stato complice di un mostro che mi aveva privato della mia umanità e portato negli abissi della lussuria.

Ora del suo corpo non rimane che un mucchietto di cenere, ed io rimango qui, come ogni notte ad aspettare. Aspettare che qualcuno della sua diabolica famiglia venga a reclamare giustizia, che porti con sé quello che mi è stato negato per oltre cinquant’anni: LA MORTE!