lunedì 21 maggio 2007

la stagione delle nebbie: uno.

Una t-shirt verde, senza scritte. Jeans a campana e converse blu. Un basco grigio, di quelli estivi. Infatti era estate, ma pioveva e faceva freddo. La pioggia rigava la vetrina della boutique arancione e bianca. La pioggia rigava i suoi occhiali spessi, con la montatura nera. Le lacrime rigavano le sue guance. Neanche trenta passi lo separavano dalla piazza.
In un’altra vita ricordava uno spettacolo di circensi ambulanti tedeschi. Avevano montato le loro impalcature, le luci illuminavano il duomo, e volteggiavano leggeri sulla folla. Alla fine dello spettacolo, lo speaker sollecitò l’obolo da parte degli astanti ricordando che gli immigrati italiani in Germania erano stati accolti con amicizia. Anche quella era un’altra vita.

Poi quelli del cinema avevano costruito una gigantesca fontana di legno e cartapesta che occupava tutta la piazza. una macchina con gli stuntman avrebbe dovuto tuffarcisi dentro. Anni dopo conobbe una degli stunt, Michela. Lei era anche un’attrice. Era la compagna di un amico di suo padre, che lo andava a trovare agli arresti domiciliari. Michela aveva recitato in Amore tossico. Ancora ricordava il cartellone del film, nei primi anni ’80. Gli fece una grande impressione, confermata quando, tanti anni dopo, lo vide su Rai 3. Poi il suo amico non andò più a trovare suo padre e lui non vide più Michela, neanche nei film.

Attraversò rapidamente la piazza, estremo capo nord dello struscio cittadino e giunse alla fontanella. Per fortuna era estate e nessuno si sarebbe stupito nel vederlo sciacquarsi la faccia per scrollarsi di dosso le lacrime. Poi si tuffò lentamente tra la folla. Il corso era diventato una galleria del vento freddo, di quel giugno maledetto e così pieno di sconforto.

Lui si sentiva triste e svuotato, sopraffatto da tutto, oppresso.

Gli ambulanti senza permesso di soggiorno si preparavano a sloggiare, perché erano arrivati i vigili. Veloci, raccoglievano le loro mercanzie in lenzuoli bianchi lerci. Almeno aveva smesso di piovere. Faceva freddo lo stesso. Si infilò in un bar, ma nel vedere le vetrine con pastarelle e tramezzini fu preso dalla nausea e uscì in fretta. Accelerò il passo verso il parcheggio sul retro del supermercato che, dopo l’orario di chiusura, costituiva una valida alternativa al dazio delle strisce blu.

Lo trovò seduto sul cofano della sua Panda, che fumava una sigaretta. Un’ultima goccia di pioggia, con incredibile precisione balistica, si era schiantata sulla sua Marlboro, così che ora teneva in mano un mozzicone spento.

Rimasero a fissarsi per un bel pezzo, con lui che rigirava nervosamente le chiavi della FIAT nella mano.

Ehhh… – esordì quello con il mozzicone – Allora, eccomi qua!
Che?
Eccomi qua! Sono venuto con largo anticipo ma sai, di questi tempi non ho un granché da fare, così mi sono detto: «vediamo quanto ci mette»! Tanto io non ho fretta, per ora. Beh, è possibile che debba scappare per un’urgenza, ma non ti preoccupare: al momento giusto ci sarò!, concluse con orgoglio.
Ma chi cazzo sei?! Chi ti conosce!, sbottò Acciari.
Ma perché fate sempre così? Non vi capisco! Si direbbe che abbiate tutti la mania per il melodramma, voi suicidi…

Quelle parole lo fulminarono, come un pugno allo stomaco che non ti aspetti… come un pugno allo stomaco che ti aspetti ma non sai bene quando.

Perché si, Acciari in effetti stava pensando più che seriamente al suicidio.