lunedì 14 maggio 2007

l'odore della musica.

È incredibile il freddo che riesce a fare in questi giorni! Non dico dieci giorni, ma neanche una settimana fa era estate. Calda, umida estate. E adesso sto qui a battere i denti, da solo. E a motore spento, per giunta.


Mi fa anche incazzare il fatto che a questa merda di macchina gli hanno rifatto la tappezzeria. Non ci vuole un segugio: la puzza dei sedili in similpelle è a dir poco inconfondibile: roba nuova. E perché ci hanno rifatto la tappezzeria? Boh! Dall’altro capo della via c’è la mia Mecca: due filamenti di neon blu elettrico ad arco, molto anni ’80: d’altronde il locale è per darkettoni, new wave, quella roba là. E siccome so che lei, Acciari, è un conoscitore dell’ambiente giovanile ci mandano Acciari a fare le poste.


Due ore… due ore e neanche il tazzone di caffè da film americano. Meglio così: il caffè mi fa schifo, e l’America pure. Non fumo, ho smesso. Splendido! Non esiste un modo migliore (peggiore) per rompersi le palle, anzi no: per fracassarsele di brutto.
Mi consolo spizzando a fondo il buttafuori: anche lui è in tema col locale. Le discoteche serie, anche quelle rocchettare, si concedono il lusso di armadi a sei ante, pelati e stronzissimi. Questa qui si può permettere questo capelli-lunghi-ma-non-troppo, un ragionier Filini della violenza: palestrato, ma da mare, lampada e faccia da coglione. Mi ci gioco le palle che fa arti marziali. Quelli delle arti marziali sono i migliori: basta un calcio in culo per metterli a cuccia.


Che palle! Che palle, che palle, che palle! Oppure… beccato! Eccolo lì. Entra adesso. Mi conviene fotografarlo ora: a giudicare da tutta la gente che ho visto entrare ritrovarlo potrebbe non essere una passeggiata. Cominciamo: pantaloni neri attillati a campana di stoffa, non jeans, direi… pelle di diavolo. Giacca velluto nero… collettone. Uh, camicia bianca con sbuffi, stile ‘700/’800, quello che è. Pettinatura diversa dalla segnaletica, a schiaffo. Ah, gli anni ’80: Bronsky Beat e via dicendo.


Non è solo: lei è… tettona… molto tettona, bassa, calze a rete, stivale pelle nera… cazzo che zinne… pare che vogliano saltar fuori dal corpetto… pelle nera il corpetto… capelli viola a ciocche… scommetto che da vicino si può vedere la corona rosa dei capezzoli che fanno capolino. Soprabito nero, lungo, tipo trench. Clic, fatto. Loro entrano. Io controllo il ferro e vado. Due secondi due di fila (tre persone davanti a me) ed il buttafuori mi fa:
Eeee, tessera nera o viola?
Oddio, io lo sapevo che era un cacacazzi.
Prima volta. Che cambia?
Lui, svogliato, aria di routine, aria da che palle questo che non è un goth e viene qui solo perché le darkettone si vestono da zoccole!
Allora, tessera nera paghi l’ingresso 10 € e hai una consumazione omaggio. Tessera viola NON paghi l’ingresso e NON hai una consumazione omaggio.
Immaginando quali possano essere i prezzi della casa, la differenza è praticamente nulla: o gli pago da bere in anticipo, o lo pago dopo al bancone. Ma io sono quello complicato.
Senti, io non ce l’ho la tessera.
Allora vai al guardaroba e la fai là.


E cacami il cazzo allora! Se la manfrina la facevo direttamente giù al guardaroba, almeno potevo cioccare dove se ne andava il tipo.
Uno, due, tre… sette scalini dipinti di nero mi portano in un bell’ambientino raccolto, circolare. Davanti a me una doppia porta imbottita mi rimanda una versione sbiadita ed attutita del casino che sta succedendo dentro. A sinistra, un divanetto in vellutino blu, come tutta la sala. A destra il gabbiotto del guardaroba con dentro indovina un po’… la tettona!


Lei mi guarda in un modo così strano che per un secondo ho l’impressione che abbia capito che sono una madama e che mi voglio bere il suo uomo. Poi capisco che si è accorta che le sto guardando le tette: è vero la corona dei capezzoli si vede. Lei mi fa:
Sono 3 € per il guardaroba.


Della tessera non gliene frega un cazzo. Io adesso potrei tranquillamente pagare (o non pagare) il guardaroba ed entrare. Ed infatti faccio così. Con riserva mentale di ribeccare dopo la tizia, se mancassi il tipo.


La riconosco subito: Frankie goes to Hollywood – Relax. Mi ricordo il film assurdo di Brian de Palma: Omicidio a luci rosse, con Melanie Griffith, che non so perché sovrappongo sempre a Meg Ryan, un po’ come con Barbara de Rossi e Elena Sofia Ricci, anche se nessuna di tutte e quattro somigli minimamente all’altra. Hm… Prima cosa… una mappa sintetica ed intuitiva del posto: una sala che corre da destra a sinistra. A sinistra più lunga, ospita i tavoli, tutti occupati da gruppi di goth, in fondo una specie di area esibizioni, una tizia tristissima che balla. Situazione: è una cliente abituale che fa la ballerina e ha convinto i gestori ad organizzare una specie di spettacolo di danza… infatti c’è un volantino fatto a mano e fotocopiato… Lady Shalott’s medieval danse macabre. La data è di oggi. È lei. Tra i tavoli e l’area ballo, a sinistra un banchetto di piercing e tatuaggi lavabili, a destra un banchetto con roba in pelle tipo fetish, ma mi sa che è avanzo di un pornoshop. La prima volta che sono entrato in un pornoshop è stato ad Amsterdam, begli anni fa, oramai. Non so perché mi ero immaginato un bordello, con commesse zoccole nude, che ti scopavano solo perché eri entrato. Che ne so: per farti provare la merce. Ne eravamo usciti con una fiala di popper e ci siamo strafatti per giorni. Il posto, invece, era tutto lindo e pinto, tipo supermarket dei surgelati. Sono stato anche in un porno qui a Roma, ma ero già in servizio. Sembrava una bisca, e infatti lo era.


A destra la sala finisce dopo pochi metri, c’è una porta, che è il magazzino della birra e delle bevande. I cessi in fondo, dall’altra parte, dietro la ballerina dei poveri. Davanti a me, per metà della lunghezza della sala, il bancone. Poco profondo. Tre cameriere, ovviamente megasorche. Ma una, se ho ancora il naso buono, non è una goth: ci si concia per lavorare. Un botto di clienti si accalcano. Sul mio lato, ma più in fondo a sinistra c’è una doppia porta con una cameretta di decompressione ed una scalinata che dà sull’uscita di emergenza. Oltre il tutto la discoteca. Ora gli vado a dare un’occhiata, prima controllo qui. Al bancone. Aspetto, aspetto e…


…i… c..mz..ione???
Cheeee? Non ho capito! Parla più forte! la prego. Lei mi sorride, gentile.
La consumazione! Hai il biglietto della consumazione?
No. Ma mi prendo un… un succo di frutta… a quello che ti pare aggiungo, prima che diventiamo scemi per scegliere il gusto. In un attimo ho il mio succo di frutta alla pera.
5 €, dice. Mica male per un succo alla pera! Pagare.


C’ho una sete del cazzo e il succo dura pochi secondi. Poi, con la scusa del cesso, mi spizzo la gente dei tavoli. Goth, goth e ancora goth. Lui non c’è. Loro non mi si inculano. Intorno a Shalott (che con quella faccia secondo me si chiama Cinzia) quasi solo amici, più due personaggi tipo me (non sbirri, quelli non darkettoni che vanno al locale dei darkettoni perché le femmine si vestono da zoccole) che se la stanno mangiando con gli occhi. Intanto le danze medievali di lei sono diventate che si è tolta il vestito lungo da Mortisia e adesso balla in body e calzamaglia. Il body le entra dentro lo spacco del culo mettendo in risalto le chiappe ben fatte, da ballerina. Via, dentro al cesso. Che è un cesso. Ma secondo me più per fare scena che per incuranza dello staff. Si, insomma: te lo immagini un locale dark/goth/punk/extreme uscito paro paro da un film americano coi cessi puliti? È come trovare una cacata nel salotto buono di Windsor. Via, fuori dal cesso. Comunque in questa sala non c’è. O è andato in puzza ed è uscito dalla scala d’emergenza mentre entravo… o sta ballando.


Il volume è assordante. È Iggy Pop, ma non mi ricordo il titolo. Bello. Tutto vellutino nero. Corre, lunga davanti a me. Non lo vedo il fondo, perché la sala è zeppa di gente. Si sta stretti e si soffoca un po’. Nell’aria il dolciastro odore del ghiaccio secco, che mi fa vomitare, ma mi ricorda quando suonavo da pischello coi miei amici ai locali. E quando sparavano il fumo non mi pareva vero. Quest’odore per me è l’odore della musica.


In puro stile goth, un po’ retrò forse, la strobo la fa da padrona. Oh, cazzo! Va tutto a fotogrammi. Io mi ci inflescio troppo con questa roba. Prima di tutto finire la mappa, se non c’è urgenza. Tiro verso il fondo del locale. A metà strada, sul lato sinistro c’è il gabbiotto del DJ: due tizie gli stanno facendo la posta per mettere su qualche cosa. In fondo c’è una specie di palchetto, rialzato di neanche un metro. Non c’è nulla tranne le due più carine della serata che si improvvisano cubiste eroto/sexy. La lampada ultravioletta accende di bianco, come piccole stelle, il pulviscolo sui vestiti neri dei goth, e fa risaltare i miei jeans, manco fossero la tuta catarifrangente di uno dell’A.N.A.S.. Mappa fatta. Ora ti prendo, stronzo.


Per prima cosa mi immergo silenzioso tra la gente che balla. Le goth hanno questo di particolare quando ballano: ti fanno venire il cazzo come una spranga. Le sbatteresti tutte al muro e te inculeresti a sangue, così, davanti a tutti. E non gliene fregherebbe un cazzo a nessuno, sicuro: fa decadenza dark. Mi fermo vicino ad una gattina, piccola piccola, con delle unghie lunghe… finte…viola… Mi giro. Eccolo! Sta dentro col DJ a chiacchierare. Si conoscono, è chiaro. Attraverso la sala. Sono all’imbocco del gabbiotto. Aspetto che esce e lo becco… CAZZO DI DIO!!! In un attimo mi ritrovo per terra, e non ci capisco più un cazzo. Non so se sono cascato, se mi hanno spinto di proposito… o se un coglione ubriaco si è schiantato per terra e mi si è portato appresso. Fatto sta che per qualche istante l’attenzione della sala è concentrata su di me: quel tanto che basta al mio amico per sgamarmi e schizzare verso l’uscita d’emergenza. Mi rimetto in piedi in un attimo e gli parto dietro. Camera di decompressione, gradini, porta antipanico. BAM! Pioggerella gelida del cazzo e un cassonetto in pieno petto che il tizio mi ha lanciato prima di ripartire. Io già sto col fiatone.


Fermo, stronzo! ‘Ndo cazzo vai! Se corri mi fai incazzare peggio e quando te prendo te sfonno! Dove cazzo vai!, ma lui niente. Quando ti prende l’adrenalina… la paura… allora cori, corri e non te ne frega un cazzo di niente.
Dai, che se lo becco prima della fine del viale va bene. Dopo stiamo su via Merulana. A quest’ora di sabato le macchine vanno che Dio le manna, e se lo stronzo attraversa rischio di perderlo. A tre quarti ho recuperato quasi tutto. Gli sto col fiato sul collo. Neanche dieci metri… sei mio! Ora ti fotto. Me lo tiro giù per terra, e prima di fargli capire che succede vado giù a calci sulle costole… uno anche in faccia, tanto per stordirlo… due, và. Poi gli sto col ginocchio sul collo, e inizio a frugargli nelle tasche. Una coppietta che passa è terrorizzata e mi guarda. Alè, noblesse oblige. Fuori the tesserino.
Polizia! Circolare! Levatevi di mezzo: è un arresto!, e intanto me lo tiro sul marciapiede.


Allora… vediamo che c’hai qui. Chiavi di una Opel, portafoglio, tre canne di fumo.
Ma che cazzo vuoi! mi fa lui, e dice “vuoi” con la “o” chiusa, da napoletano. Aho, fosse il primo di darkettone napoletano che becco! Non si sa quanti sono. Napoli spara, Acciari si incazza. Questa porcazoccola di pioggia mi sta colando dentro il colletto e mi prende una voglia di casa, doccia calda, radio, libro, letto. E invece appresso a questo testa di cazzo, eh?
Me fai male! Sbirro ‘e mmierda! Fascista del cazzo!


Eccolo là! È un classico. E che non c’hai ragione? Che senso ha che mi metta a dire che no. Non sono fascista. Manco per il cazzo. Anzi, tu non sai che cazzo è difficile essere comunisti in un ‘ambiente dove il più democratico dei tuoi colleghi costringe i pischelli arrestati alle manifestazioni a cantare Faccetta Nera… a calci e manganellate. Ma è proprio vero? Se ero questo gran compagno a fare lo sbirro non ci finivo. A fare la carriera anche di meno. A farmi il nome da testa calda, ma ottimo elemento, manco a dirlo. E allora mi sa che tieni ragione te, guaglionciello mio: sono sbirro… ergo fascio del cazzo.


Lo tiro su e ci mettiamo a riparo sotto una tettoia.
Dai che non ci faccio un cazzo con te. Dimmi dove sta Ruoppolo e te ne vai affanculo subito. Manco ti porto in commissariato per la segnalazione.
O! Sbirro! L’anema ‘e chi t’è muorto.
Vale a dire: li mortacci mia… e de chi te campa, scoreggia napoletana!, e una ginocchiata in panza non gliela leva nessuno. Dai, che se mi fai incazzare, tiro fuori il pezzo e ti faccio cacare in mano.
Dai, che se mi fai incazzare, tiro fuori il pezzo e ti faccio cacare in mano! Ruoppolo. Dove cazzo sta Ruoppolo, eh?! DOVE!


Eeeeeee BAM n°2!! Che mazzata! L’amichetta m’ha preso in piena nuca con… con… noooo: un ombrello di quelli da pastore feroce, col manico di legno durissimo e pesantissimo. Centro perfetto. Porco il dio, vedo le lucette. Questi stanno così a duemila che se svengo ora, magari m’ammazzano pure. Grosse lucette, il rumore della strada passa in primo piano. Sento RUUUM RRRRUUMMM RRRRRRRRUUUUUMMMM nelle orecchie e mi vedo la faccia distortissima riflessa in una pozzanghera… cazzo… ciaoooo… Avanti! Mano sinistra nella pozzanghera: gelida, bene. Mano a coppa… in faccia! Aaaaahh! Bentornato me sul pianeta Terra! Ora vi inculo a morte. La puttana non se l’aspettava che mi rialzavo, e già era andata a badare al boyfriend. Con un’unica mossa sto in piedi e sparo una capocciata in faccia alla troia viola. Uno schizzo di sangue l’accompagna sull’asfalto. Poi prendo il ferro, di calcio… e gli sfascio la faccia allo stronzo. Gliene do tante quante me ne vengono. Quando ho finito lei sta per terra: si lamenta e piange. Lui neanche quello. Il merda mugugna, maschera di sangue del cazzo. Ve l’avevo detto, eh, che si scopava a morte stanotte, stronzi!


Adesso, siccome tu non vuoi (con la “o” chiusa) parlare, me lo dice lei dove sta Ruoppolo. Sennò me la porto in commissariato e ce la scopiamo tutti finché i capelli non le diventano biondi! Hai capito, pezzo di merda? Eh? Si fotte stanotte. Si fotte la tua donna. Porco dio, sulla scrivania me la faccio. Pure nel culo, hai capito? E poi je sborramo tutti su quelle belle zinne grosse, tutti insieme, da bravi colleghi sbirri fascisti di merda!


Tiene un appartamento sulla Casilina, a Torre Angela. Ti ci porto.
E ti ci voleva tanto, cazzo? Vai, puttana! Alzati e vaffanculo. Tu mi porti da Ruoppolo e poi te ne vai affanculo pure te! Acciari c’ha una parola sola. Ci voleva tanto?


Roma di merda, che però pare che certe volte ti si sintonizza addosso: ha pure smesso di piovere.